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L’astuta strategia di Meloni sul caso Almasri, Schlein: “È eversione”

L’astuta strategia di Meloni sul caso Almasri, Schlein: “È eversione”

Il caso del torturatore libico

Il governo si difende e trasforma il caso in uno show propagandistico in vista del referendum sulla giustizia. Schlein: “Eversione l’attacco di Meloni ai giudici”

Foto collage X/Lapresse
Foto collage X/Lapresse

Giorgia Meloni non proverà a spegnere i riflettori sul caso Almasri. E il ricorso al segreto di Stato, paventato ieri da Elly Schlein, lo considera fuori discussione. La sua strategia è opposta: alzare invece di abbassare i toni, per fare del dibattito sull’autorizzazione a procedere contro i suoi ministri un grande show propagandistico in vista del referendum sulla giustizia della prossima primavera.

È convinta che la maggioranza degli italiani sia dalla sua parte, perché il caso Almasri, anche se nessuno osa dirlo apertamente, rientra a pieno titolo nel capitolo immigrazione che la destra considera, e non a torto, il suo vero cavallo di battaglia. La tesi difensiva del governo, partorita dall’avvocatessa e parlamentare di spicco Giulia Bongiorno, è stata messa nero su bianco nella memoria difensiva inviata già il 30 luglio. La decisione di liberare il torturatore sarebbe stata presa per salvaguardare lo Stato da pericoli gravi e imminenti. Il governo invoca quindi sia lo “stato di necessità”, sia l’ “interesse di Stato” e si appella all’art. 25 della Responsability of State for Internationally Wrongs Acts del 2001, che coincide con la Costituzione italiana. In sostanza, in caso di grave pericolo, anche il ricorso a scelte solitamente illecite è legale.

L’opposizione accetta la sfida. La segretaria del Pd Elly Schlein è particolarmente dura. Accusa il governo di aver mentito al Parlamento e si tratta di un addebito incontrovertibile, dopo che la premier ha rivendicato il carattere politico di una scelta che Nordio e Piantedosi, in Aula, avevano addebitato invece a errori tecnici e vizi di forma. La leader del Pd si scaglia anche contro l’intemerata della premier contro la magistratura, accusata di perseguire un “disegno politico” per impedire il contrasto dell’immigrazione clandestina. “Questa è eversione”, punta l’indice Elly e la replica dell’Anm, formalmente più soffice, è nella sostanza identica: “I magistrati non fanno politica. La magistratura continuerà a svolgere il proprio compito con profondo rispetto del mandato costituzionale. Non esiste alcun disegno avverso all’Esecutivo, affermarlo significa non comprendere il funzionamento della separazione dei poteri dello Stato”.

La premier però non retrocede di un passo. Ieri i leader di Avs, Fratoianni e Bonelli, hanno annunciato in conferenza stampa l’intenzione di denunciare l’Italia di fronte alla Corte Penale Internazionale per complicità nei massacri di Gaza. La replica di Meloni non si è fatta attendere: “Hanno un’unica strategia e speranza: provare a liberarsi degli avversari per via giudiziaria, perché alla via democratica hanno rinunciato da un pezzo. Non riusciranno”. Molto più delle sottigliezze legali messe a punto da Giulia Bongiorno, sono le parole della premier a chiarire quale sarà la strategia politica del governo. Suona più o meno così: magistrati e sinistra sono complici in un disegno politico che mira a contrastare la lotta contro i clandestini e in questo quadro va inserito anche il caso Almasri. Il referendum è l’occasione per sconfiggere questa manovra, in una visione nella quale il merito della riforma è già passato in terzo o quarto piano.

È una strategia astuta, consentita anche dalle difficoltà che l’opposizione incontra nell’affrontare lo scandalo Almasri sul terreno suo proprio: quello della politica, degli accordi ignobili e inconfessabili tra il governo democratico dell’Italia e i signori della guerra e dei lager libici, dell’impossibilità di restare non solo alleati, ma anche finanziatori di chi, se non accontentato, sarebbe pronto a rappresaglie terribili. Il Pd ha nell’armadio i suoi scheletri, la firma di Gentiloni e Minniti in calce allo scellerato accordo con i torturatori libici. La premier no e dunque è proprio lei a spostare la partita sul terreno della politica, quello sul quale avrebbe in realtà tutto da temere. La campagna che mira a coinvolgere la capo di gabinetto Bartolozzi per processare il governo attraverso di lei, non protetta dall’immunità parlamentare, fa parte dello stesso corto circuito giudiziario invece che politico.

Renzi si è scatenato ieri contro la tesi giuridiche di chi ritiene impossibile processare la capo di gabinetto e non i ministri, per i quali in ottobre sarà senza dubbio negata l’autorizzazione a procedere: “È una velina di palazzo Chigi: la guarentigia vale solo per premier e ministri non per i capi di gabinetto”. Nordio fa bella figura seguendo le orme della premier: “Come Meloni ritengo puerile ipotizzare che il mio capo di gabinetto abbia agito in autonomia. Tutte le sue azioni sono state esecutive dei miei ordini”. In discussione e sul banco degli imputati non c’è una complicità nell’evasione di un bandito, c’è una intera politica che è costata molte vittime e molte atrocità. Su quella più che sulle responsabilità di una capo di gabinetto dovrebbe concentrarsi l’opposizione.

l'Unità

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